Accesso al credito - Osservazioni (ISLANDA)
Dopo la crisi finanziaria del 2008 il settore bancario commerciale ha subito una radicale ristrutturazione e si è ripreso contribuendo, fino alla fine del 2019, per circa 400 milioni di dollari alla raccolta fiscale nazionale sotto forma di tasse bancarie e tasse sulle attività finanziarie. Impiega circa 3000 dipendenti in quasi 90 filiali.
Esso è tuttavia entrato in notevole crisi nel 2020 a causa degli effetti economici della pandemia da Covid-19.
I tre istituti di credito islandesi (Landsbankinn, Islandsbanki e Arion Bank), sopravvissuti alla predetta crisi finanziaria, hanno tutti fatto registrare consistenti perdite nel primo trimestre del 2020. Landsbankinn ha subito in tale periodo una perdita di 24,4 milioni di dollari a fronte dei 46,2 milioni di utili realizzati nel primo trimestre del 2019; Islandsbanki ha registrato un passivo di 9,4 milioni di dollari mentre la performance di Arion Bank è stata anche peggiore con un saldo negativo di 14,9 milioni di dollari.
Anche a causa di tale situazione, acuita dalla crisi pandemica che ha notevolmente ridotto il livello delle attività economiche in Islanda, il Governo islandese ha deciso nel corso del 2021 di mettere in vendita le azioni della Islandsbanki nella misura del 30% circa dell'intero pacchetto azionario. Si tratta di una misura che, se da un lato cerca di ovviare sia pure parzialmente all'aumentato livello del deficit pubblico, dall'altro mira a rendere più stabile il settore bancario conferendogli un rinnovato vigore e ponendolo in una situazione di maggiore rispondenza alle esigenze del mercato. Non sono tuttavia ancora conosciuti i tempi di completamento dell'operazione.
Il settore bancario islandese sembra insomma non avere requie e, dopo essere sopravvissuto alla forte crisi finanziaria del biennio 2009-2010 sia pure in una versione molto più limitata ed “asciutta”, ha ora imboccato una nuova strada tortuosa e dagli esiti difficilmente prevedibili, anche per la concreta possibilità che, finita l’emergenza epidemiologica, possa riprendere la fuga di capitali verso l’estero he era stata, al contempo, causa ed effetto della precedente crisi finanziaria.
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