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Politica interna (BOSNIA ED ERZEGOVINA)

A ventisei anni dall’Accordo Quadro Generale per la Pace in Bosnia ed Erzegovina (comunemente noto come “Accordo di Dayton/Parigi”), gli assetti scaturiti dalle intese di pace - funzionali a garantire nel 1995 la fine della guerra - hanno consentito di stabilizzare la regione e raggiungere importanti progressi nella vita democratica del Paese ma non di sviluppare un senso di comune appartenenza nazionale e superare le divergenti visioni ed interpretazioni che i principali partiti etno-nazionalisti hanno del Paese.

Entrambe le Entità in cui, ai sensi degli Accordi di Dayton, è suddivisa la Bosnia Erzegovina (la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska) mostrano evidenti problemi di disfunzionalità interna (nel caso della Federazione, il cui Governo funziona in prorogatio dal 2018 e nella quale le competenze sono largamente decentrate a livello di dieci Cantoni) o sono teatri di pericolose iniziative politiche volte a contestare la legittimità dello Stato centrale (come nel caso della Repubblica Sprska, che è invece più accentrata dal punto di visto amministrativo). Tutto ciò, unitamente alla pervasività del fenomeno della corruzione ed alla estensione dell’apparato statale, incide negativamente sul percorso di integrazione euro-atlantica di Sarajevo: al proposito, si ricorda che la Commissione Europea ha pubblicato nel 2019 la sua opinione sulla domanda di adesione della Bosnia Erzegovina all’Unione Europea, che consta di 14 priorità, ancora per lo più disattese.

La necessità di porre mano a riforme costituzionali ed elettorali che permettano di semplificare la complessa struttura amministrativa del Paese e superare i profili discriminatori in essa contenuti, retaggio dei citati Accordi di Dayton ed oggetto di condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, è formalmente riconosciuta dall'intero spettro politico bosniaco-erzegovese, ma con sfumature e sensibilità diverse a seconda dei partiti e del gruppo etnico di riferimento (bosgnacchi, croati, serbi) e con una crescente radicalizzazione delle posizioni che ha ulteriormente bloccato negli ultimi anni i progressi verso il percorso di adesione all’UE. Il Paese dovrà inoltre approvare, per acquisire lo status di Paese candidato all’UE, una serie di importanti riforme nei settori dello stato di diritto e della lotta alla corruzione, del conflitto di interessi, degli appalti pubblici e del sistema giudiziario.

Infatti, a seguito della liberalizzazione dei visti Schengen del 2010, sviluppo di fondamentale importanza per gli operatori economici, e dell’entrata in vigore dell’Accordo di stabilizzazione e associazione con l’UE nel 2015, non si registrano ulteriori passi in avanti nell’opera di riforma della gestione economica del paese, in particolare nel settore cruciale degli appalti pubblici. La gestione delle società pubbliche necessita di un’opera di importante efficientamento e apertura agli investimenti esteri.

Ultimo aggiornamento: 04/07/2022